Ciao, come stai? Ormai è diventata una domanda scontata! Che rientra nei cliché della buona educazione allontanandosi dai buoni modelli relazionali.
Ciao, come stai? Domanda scontata talmente tanto che a volte si prosegue a parlare ponendo altre domande senza dare tempo all’altro di rispondere, o prendendoci tutto lo spazio disponibile nella comunicazione per raccontarci senza ascoltare la risposta dell’altro.
A volte, segue una risposta secca e frettolosa, altrettanto scontata che ha l’obiettivo di raccontare poco di noi: “bene e tu?” Per i più positivi: “alla grande! eTu?”, e per i più scaramantici: “potrebbe andare meglio! ma ci accontentiamo”.
Partire da questa domanda può fare la differenza nel contatto che stabiliamo ogni giorno con gli altri. Una relazione empatica e genuina è centrata sull’ascolto libero da aspettative e giudizio dove ciò che vediamo, sentiamo e osserviamo rispetta semplicemente ciò che esprime l’altro.
Ma veramente cosa stiamo chiedendo con questa domanda? Perché è così importante?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la salute come uno stato completo di benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia e di infermità. Il concetto di benessere va inteso nella sua accezione oggettiva (stare bene) e soggettiva (sentirsi bene).
Quando rispondiamo a questa domanda diamo quindi una risposta molto complessa che ascolta:
- Il nostro corpo (come stiamo fisicamente);
- La nostra mente (quali sono i pensieri prevalenti che girano nella nostra testa);
- Il nostro cuore (le emozioni che sentiamo);
- Le situazioni/esperienze che abbiamo vissuto, che stiamo vivendo e che potremmo vivere nel nostro contesto familiare o sociale.
Questa complessità a volte non permette di dare una risposta chiara alla domanda: “Come stai?”
Un pò per confusione; un pò per paura di ciò che potrebbe pensare l’altro di noi; un pò per la certezza che tanto è inutile parlare di come stiamo perchè annoia e non interessa l’altro; un pò perchè siamo certi che nessuno ci potrà aiutare a stare meglio e che tanto è inutile parlarne; un pò perchè ci spaventa entrare in contatto con una parte di noi che non riusciamo a gestire… Alla fine evitiamo di comunicare in modo chiaro e trasparente ciò che stiamo provando e con il tempo ci chiudiamo sempre di più in un sentimento di ambivalenza tra l’esserci e il non esserci, dove il nostro modo di vedere diventa sempre più rigido e privo di opportunità di confronto, la sofferenza e il dolore mentale diventa sempre più insostenibile.
Ognuno di noi può fare qualcosa per aiutare chi pensa che farsi del male o togliersi la vita è l’unica soluzione per non sentire il dolore e non soffrire.